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  • Immagine del redattoreAnna Maria

Maratea

6. - 7. Marzo --- 134. - 135. giorno di viaggio

Pochi chilometri dopo Sapri, l’ultimo paese della costa campana, iniziò la Basilicata. Non avevo un’idea precisa di cosa aspettarmi e forse proprio per questo questo pezzettino di costa mi stupì così tanto.

Praticamente al confine tra le due regioni si trova la statua della Spigolatrice di Sapri, una giovane lavoratrice che assistette alla tentata impresa di Carlo Pisacane a Sapri nel 1857. La donna parteggiò per i trecento e dovette assistere al loro massacro da parte delle truppe borboniche. Più avanti passai accanto a due torri diroccate, la Torre di Mezzanotte e la Torre dei Crivi, prima di arrivare al piccolo paesino di Acquafredda, dove sostammo in un parcheggio per la pausa pranzo.

La strada che percorremmo era sempre la SS18, ma poco trafficata, forse anche per i lavori stradali che venivano fatti in quel periodo. Il fascino di questo tratto, sicuramente anche stupendo in bici, moto o macchina, è che la statale è a strapiombo sul mare. Passando lentamente con i cavalli, riuscii a intravedere strettissimi sentieri, forse tracciati dagli animali selvatici, e ogni piccola insenatura. Riuscii ad ammirare tutte le strane formazioni rocciose in tutta tranquillità, salutando le poche macchine che mi sorpassarono.

Da Acquafredda in poi aumentò poco per volta il traffico. Passai per una piccola frazione e arrivai poco dopo all’inizio di Maratea. All’inizio del paese mi fermò un signore che volle sentire la mia storia e che chiamò, tutto entusiasta del progetto, una sua amica russa, per raccontarle la storia e presentarmi. Dopo questo strano, ma carino incontro, iniziai a salire la montagna. Percorsi vari piccoli vicoli e stradine secondarie, su una delle quali incontrai un amico dei miei ospiti di quella sera, che mi indicò la strada. Mi fermai in questa piccola scuderia, con il tondino per i cavalli e la club house per me e Sparta. Il mattino seguente scambiai due chiacchiere con Mara, la proprietaria del posto, prima di salire ancora più in alto, per visitare la statua del Cristo Redentore di Maratea. Legai i cavalli tra le mura del vecchio paese e mi incamminai per l’ultimo tratto a piedi, Sparta al seguito. La combinazione di questa enorme statua in questo punto assurdo e questa vista spettacolare è unico in Europa, e trova il suo pari solamente a Rio de Janeiro in Brasile. C’è un’energia speciale in quel posto, molto simile a quella nelle chiese, una pace e serenità rilassante.

Dal Cristo scendemmo di nuovo a livello del mare, per riprendere la nostra vecchia amica, la SS18, che seguimmo fino a Castrocucco e che ci portò a cambiare nuovamente regione.


“La Spigolatrice di Sapri”


Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Me ne andava al mattino a spigolare quando ho visto una barca in mezzo al mare: era una barca che andava a vapore, e alzava una bandiera tricolore. All’isola di Ponza si è fermata, è stata un poco e poi si è ritornata; s’è ritornata ed è venuta a terra; sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Sceser con l’armi e a noi non fecer guerra, ma s’inchinaron per baciar la terra. Ad uno ad uno li guardai nel viso: tutti aveano una lagrima e un sorriso. Li disser ladri usciti dalle tane, ma non portaron via nemmeno un pane; e li sentii mandare un solo grido: “Siam venuti a morir pel nostro lido”. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro un giovin camminava innanzi a loro. Mi feci ardita, e, presol per la mano, gli chiesi: “Dove vai, bel capitano?” Guardommi, e mi rispose: “O mia sorella, Vado a morir per la mia patria bella”. Io mi sentii tremare tutto il core, né potei dirgli: “V’aiuti il Signore!” Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Quel giorno mi scordai di spigolare, e dietro a loro mi misi ad andare: due volte si scontrâr con li gendarmi, e l’una e l’altra li spogliâr dell’armi: ma quando fûr della Certosa ai muri, s’udirono a suonar trombe e tamburi; e tra ’l fumo e gli spari e le scintille piombaron loro addosso più di mille. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Eran trecento e non voller fuggire, parean tre mila e vollero morire; ma vollero morir col ferro in mano, e avanti a loro correa sangue il piano: fin che pugnar vid’io per lor pregai, ma a un tratto venni men, né più guardai: io non vedea più fra mezzo a loro quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!


Luigi Mercantini



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